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Harvey, una commedia per due

8/21/2013

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GTV Niù e Micromega con due diverse rappresentazioni del testo di Mary Chase
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“Ho passato quasi quarant’anni a combattere contro la realtà, ma alla fine ho vinto io, uscendone fuori …”.

Per Elwood P. Dowd la cosa è tanto semplice e naturale quanto per altri incomprensibile. D’altronde, sarà pure simpatico per i suoi modi gentili, ma quella storia del suo amico Harvey, nientemeno che un coniglio bianco alto un metro e ottantasette (che ovviamente vede solo lui), non è certo una cosa normale! E il peggio è che lo presenta a chiunque gli capita di incontrare. Con buona pace di sua sorella Veta, ormai incapace di tollerare l’imbarazzo. Non c’è altra soluzione: Elwood va chiuso in manicomio. Ma chi l’avrebbe detto che distinguere i normali dai pazzi sarebbe stato così difficile? Così, almeno in un primo momento, quella che finisce rinchiusa è proprio Veta! L’errore viene presto scoperto, ma rimettere a posto le cose non è così semplice: c’è Elwood, con la sua disarmante imperturbabilità, e poi … e poi c’è questo coniglio sempre tra i piedi … E allora? Allora è meglio lasciar stare, perché in fondo, chi è veramente normale? Senza contare che i cosiddetti “normali” sono spesso irosi, scortesi … e pericolosi.

Scritto verso la metà degli anni ’40 dalla drammaturga americana Mary Chase, “Harvey” ebbe da subito un grande successo, ripetuto negli anni a seguire,tanto da diventare un classico della drammaturgia contemporanea.
Si tratta di una commedia divertente e di spessore (all’autrice valse il premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1945), poiché fa ridere e contemporaneamente riflettere sull’idea, spesso preconcetta, di normalità, sulla percezione del diverso e della realtà.
Insomma, un condensato di contenuti, insospettabile a prima vista.

Con questi presupposti non è improbabile che capiti di assistere a messe in scena anche molto diverse tra loro, a seconda dell’aspetto che più colpisce la sensibilità del regista. E il caso ha voluto che, per una curiosa coincidenza, la rassegna di Teatro nei Cortili, vedesse la rappresentazione di questo stesso testo da parte di due diverse compagnie: GTV Niù (con la regia di Roberto Adriani) e Micromega (con la regia di Andrea Di Clemente e Renato Biroli). Non si è trattato affatto, tuttavia, di due spettacoli fotocopia. Al contrario, il taglio interpretativo è stato molto diverso e ciò forse proprio grazie alla particolarità del testo, con le sue molteplici chiavi di lettura.


GTV Niù ha fatto riferimento alla versione italianizzata, dal titolo “Amilcare”, dandone una rappresentazione simbolica, marcatamente grottesca e surreale. La scenografia è scarna e stilizzata, con prevalenza del nero, e con elementi scenici altamente simbolici: uno su tutti, il quadro che avrebbe dovuto rappresentare la madre di Elwood (qui, Elio Santi) sostituito poi dal ritratto del coniglio, è una cornice bianca, vuota, pendente dal soffitto in mezzo alla sala e dietro alla quale si vanno a disporre i personaggi. Il trucco è volutamente esagerato su visi pallidi e disumanizzati, più caricature di certa umanità che persone in carne ed ossa. I costumi sono svincolati dalla funzione di connotazione dei personaggi e sono anch’essi strani, dalle fattezze e colori improbabili. In mezzo a questa anormalità, spicca la normalità (“una dolce figura umana”) di Elio Santi, proprio colui che il testo vorrebbe pazzo e visionario.Una provocazione che mira a ribaltare i ruoli, mettendo sotto accusa la paura del diverso, quando in realtà siamo tutti diversi per qualcun altro.
L’idea è interessante ed anche coraggiosa, certo non la scelta più scontata e a ciò va dato merito. Si tratta però anche della più impegnativa, perché esige rigore registico ed interpretazione intensa, che molto si affida al linguaggio non verbale. Da questo punto di vista la performance non ha convinto del tutto. Alcune approssimazioni registiche e qualche impaccio scenico non hanno giovato al meccanismo congeniato, lasciando lo spettatore disorientato tra la linearità della vicenda dettata dal testo e la sua rappresentazione simbolica. Rimane comunque un lavoro apprezzabile ed una scelta da incoraggiare.

Micromega si è affidata invece di più al testo, assecondandolo nella maniera più lineare e realistica, scegliendo un approccio diretto, con poco spazio a mediazioni concettuali, lasciando che il messaggio emergesse in maniera spontanea dal testo. La scenografia è realistica (i mobili sono mobili e i quadri sono quadri …) e particolareggiata. I costumi danno l’immediata connotazione ai personaggi (i medici hanno il camice ed anche gli altri sono vestiti come in fondo ci si aspetta). Gli attori si sono mossi con disinvoltura, chiamati ad azioni quotidiane e ad una recitazione naturale, solo con qualche difficoltà iniziale a prendere il ritmo giusto. Insomma, una rappresentazione di tipo tradizionale, ma ben curata e ben condotta, con una regia molto ordinata e attenta anche ai momenti secondari, come i cambi scena e i saluti finali. Tra gli interpreti di questa compagnia hanno suscitato particolare apprezzamento Enrico Pasetto (Elwood) e Ilaria Duzzi (Veta).

In definitiva, quella che poteva essere solo una sfortunata coincidenza, si è rivelata una ghiotta occasione di approfondimento di un testo che evidentemente ha ancora molto da dire.

Paolo Corsi
"Veronaè" Agosto 2011

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